Le parole sono sintomi

In questi anni, dopo avvenimenti come la crisi globale, la crisi greca e brexit, si è fatto un gran parlare di temi come la globalizzazione, l'euro, la sovranità.
Discutendo di questi temi, un amico, di posizioni anti-euro e anti-globalizzazione, mi ha detto: "L'euro è parte di un progetto che comprende anche la globalizzazione".
Questa semplice frase apre a molte riflessioni. Ingloba una visione del mondo da cui poi scaturiscono molte delle opinioni no-euro che stanno emergendo in questi anni. La parola chiave su cui concentrarsi è 'progetto'. La globalizzazione è un 'progetto' di cui l'euro fa parte, secondo il mio amico.
La globalizzazione un progetto? Qualcosa non mi torna. Non è una roba troppo grossa per essere un 'progetto'? Prendiamola alla larga: cos'è un progetto? Wikipedia esordisce così:

Un progetto consiste, in senso generale, nell'organizzazione di azioni nel tempo per il perseguimento di uno scopo predefinito, attraverso le varie fasi di progettazione da parte di uno o più progettisti.

Wikipedia non è detentore del sapere assoluto ma questa definizione è una buona sintesi di quanto si trova su dizionari o altre fonti. Tutte concordano che per avere un progetto ci vuole un gruppo più o meno esteso di persone che si coordinano per conseguire uno scopo definito. Insomma, non è una roba che succede in natura spontaneamente. Ci vuole della gente che si organizza per creare un qualcosa che altrimenti non esisterebbe. Ecco, forse la definizione che darei io di progetto è una definizione indiretta del tipo: qualsiasi fenomeno non-naturale, è il risultato di uno o più progetti.
Quindi, il sorgere del sole non è un progetto perché nessuno ha mai dovuto muovere un dito perché ciò avvenga. Un'autostrada è un progetto perché senza l'uomo a costruirla, non esisterebbe.
Questa definizione, pur nella sua limitatezza, mette in evidenza due aspetti importanti per quanto dirò in seguito.
1. L'artificiosità: le definizioni di progetto che si trovano in giro non lo dicono chiaramente, ma il concetto di artificiosità è implicito nel concetto di progetto. Senza dare una status speciale ai prodotti umani, il concetto di 'progetto' non avrebbe senso. Se un'autostrada fosse equiparata ad un fenomeno naturale che semplicemente 'succede', non servirebbe una parola per sottolineare che qualcuno ha speso energie mentali e fisiche per realizzarla. Dunque, il concetto di progetto sottointende una deliberata intenzione di creare qualcosa che riconosciamo come non-naturale, artificiale appunto.
2. Lascia spazio ad un'interessante 'zona grigia'. Il sorgere del sole non è un progetto. Un'autostrada lo è. E la rete autostradale? Chiaramente è un prodotto artificiale ma, si può dire che qualcuno ha progettato l'intera rete autostradale così come la conosciamo adesso? Ossia, quando venne costruita la prima autostrada, i progettisti avevano già in mente l'intera rete odierna ed ogni suo possibile sviluppo futuro? Chiaramente no. La rete autostradale è il risultato cumulativo di una serie di progetti indipendenti ma correlati che vanno poi a formare un unicum che, seppur artificiale, non può essere identificato come 'un progetto'. Manca l'uniformità di intenzioni, di limitatezza temporale e spaziale. La rete autostradale è dunque un ibrido, una via di mezzo. Artificiale perché costruita dall'uomo ma anche naturale perché sviluppatasi nel tempo, secondo la necessità e le possibilità del momento.

Tutto molto bello direte voi, ma con la globalizzazione che c'azzeca? Ebbene la globalizzazione sembra proprio uno di questi oggetti che, pur essendo chiaramente oggetti artificiali, fatti dall'uomo, mancano di sufficienti limitazioni di intenzioni, temporali e spaziali per essere definito con disinvoltura 'un progetto'. Sembra di più un conglomerato gigantesco di progetti molto più piccoli. Di cosa è fatta in fondo la globalizzazione? Detta in soldoni, di tecnologie sviluppate in decine di anni che permettono trasporti e  comunicazioni veloci e di un ambiente politico/economico favorevole alla libera circolazione di merci, persone ed informazioni. Quindi, a mio avviso, la globalizzazione cade in quella area grigia degli oggetti che sono la somma di una miriade di progetti ma che definire essa stessa un progetto appare come una forzatura. Ogni treno, binario, automobile, nave container, rete informatica, computer, negoziato internazionale, accordo di scambio, persona che espatria, attività data in outsourcing, sono dei progetti e la somma di centinaia di migliaia di questi è l'oggetto che chiamiamo globalizzazione.
Dunque, da quanto detto sinora la globalizzazione NON è un progetto. Troppo estesa nel tempo e nello spazio, troppa gente coinvolta (centinaiadi milioni di persone), troppo di tutto.
Ma quindi perché la frase da cui siamo partiti: "L 'euro è parte di un progetto che comprende anche la globalizzazione"? Perché usare il termine 'progetto' con tanta disinvoltura?
A mio avviso l'uso di quella parola è indice e/o promotrice di una visione del mondo.
Il suo uso in quel contesto può solo avere lo scopo di evocare una o più delle caratteristiche proprie di un progetto: limitatezza di intenzioni, temporale e spaziale. Detto questo, a nessuno può sfuggire l'estensione temporale e spaziale della globalizzazione. Quindi, sarebbe ridicolo supporre che si voglia evocare una limitatezza temporale o spaziale della globalizzazione. Rimane la terza, la limitatezza di intenti. Qui per limitatezza di intenti si indica una cerchia limitata di individui che si coordina per perseguire lo scopo del progetto. Dunque,  con la parola 'progetto' si suggerisce l'esistenza di un gruppo non meglio definito di persone dietro il fenomeno della globalizzazione. Si introduce una volontà umana che ha lavorato e lavora con lo scopo della globalizzazione. Si sminuisce, se non addirittura si elimina,  quell'aspetto 'naturale' che è proprio di quegli oggetti nella zona grigia di cui parlavamo sopra. La globalizzazione non è un risultato più o meno accidentale ed inevitabile del progresso tecnologico e politico ma è un preciso disegno di qualcuno che lavora al suo compimento (per fini propri, aggiungerei).
Quindi, perché compiere questa operazione? Che vantaggi dà argomentare sulla globalizzazione in questo modo?
Per rispondere abbandono quello che è la sfera delle deduzioni logiche e dell'analisi lessicale che ho cercato di tenere sinora e mi addentro nel territorio della speculazione. Questo perché fondamentale vado a sondare le intenzioni implicite altrui.
Il motivo dell'uso della parola progetto credo sia legato ad una particolare visione del mondo. Una visione per cui l'uomo ha un grande controllo sulla forma della società e tutto quanto avviene in essa. In tale visione anche la globalizzazione diventa un fenomeno controllato, voluto, progettato dall'uomo. Se non lo fosse equivarrebbe a riconoscere alla globalizzazione un che di 'naturale' e ciò renderebbe problematico intervenire su di essa. I fenomeni naturali, come sappiamo, possono essere o non essere assoggettabili al nostro controllo. Il sorgere del sole è fuori il nostro controllo. Lo straripamento di un fiume può essere controllato costruendo argini e canali. I terremoti non li possiamo controllare. Se un pezzo di terra produce o meno beni agricoli utili all'uomo è un fatto controllabile; l'agricoltura è stata inventata con quel fine. E così via. Insomma, quando c'è di mezzo la natura esiste un incognita: possiamo intervenire e modificare gli eventi come desidereremmo? La risposta è incerta. Al contrario, nel momento in cui un oggetto è il risultato di un progetto, della volontà umana, della capacità umana di creare e modificare la natura, esso è chiaramente sotto il controllo umano.
Ma, a cosa serve interpretare la globalizzazione come un fenomeno sotto il controllo umano? Qui veniamo al vulnus della questione. Infatti, l'argomento contro la globalizzazione o contro l'euro, non è fine a se stesso, non si esaurisce con la sola critica. L'obiettivo vero è proporre un'alternativa, un percorso alternativo e creare consenso attorno ad essi. È ovvio che una condizione utile perché una proposta ottenga consenso è che appaia realizzabile sul piano pratico . Se la globalizzazione fosse un fenomeno 'naturale' la nostra capacità di contrastarla sarebbe incerta. Potrebbe essere uno di quei fenomeni naturali fuori dal nostro controllo. Se invece la globalizzazione fosse un progetto, ecco che l'uomo ne avrebbe il controllo. Se fosse un progetto ci sarebbe qualcuno a dirigerla e dunque, rimuovendo quel qualcuno e sostituendovisi, si potrebbe cambiarne il corso. Descrivendo la globalizzazione come un 'progetto', teniamo aperta una possibilità al cambiamento repentino. Una proposta di come cambiare il corso della globalizzazione diventa una proposta forte perché, l'unica condizione richiesta, e di sostituire l'attuale progetto di globalizzazione con il proprio. Se ha funzionato un progetto può funzionarne un altro.
Dunque, definire la globalizzazione un 'progetto' lo mette alla nostra portata. Ma vi è anche un secondo vantaggio. Una escamotage utilizzato dalla notte dei tempi da quanti vogliono creare un proprio seguito per sovvertire l'ordine costituito: individuare un nemico. I fenomeni naturali non hanno mandanti (o, per alcuni, ne hanno ma di tipo trascendentale, sorvoliamo). Non si può puntare il dito contro nessuno dopo un terremoto (ignorando teorie conspirazioniste alquanto estreme). Al contrario, un 'progetto' ha dei mandanti per definizione stessa della parola 'progetto'. Definire quindi la globalizzazione un progetto crea in automatico un nemico, umano, contro cui coalizzarsi. Di nuovo questo da forza ad un'eventuale proposta alternativa.

Per concludere, quel disinvolto uso della parola 'progetto', cela una visione del mondo in cui anche un fenomeno enorme come la globalizzazione è comunque sotto il pieno controllo umano e quindi suggerisce un percorso plausibile e rapido per cambiare lo status-quo. Sostituendsi agli attuali  'manovratori' e sostituendo il loro progetto di globalizzazione con il proprio ecco che si potrebbero rettificare quei problemi che affliggono molti e che vengono avocati all'attuale gestione a vantaggio di pochi parte globalizzazione.
Tutto ciò ovviamente si regge su quell'assunto: che tutto quanto ci succede sia parte di un grande progetto. È così?

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